La letteratura sulla #TheoryofChange (ToC da qui in poi) è ormai consistente.
Non mancano, come in ogni ambito, promotori entusiasti, critici che la liquidano come l’ennesima moda inutile e professionisti – fra i quali mi colloco io – che la considerano un approccio potentissimo alla programmazione strategica e alla valutazione dell’impatto, ma a determinate condizioni.
Quel “a determinate condizioni” è ciò che fa la differenza non solo fra una ToC efficace e un lavoro che lascia sul campo spreco di risorse e demotivazione (per l’organizzazione, per gli stakeholders e per l’intero settore), ma anche fra le ToC proposte da varie realtà o agenzie e il mio personale approccio alla ToC.
Sia chiaro, non sto affatto affermando che il mio approccio sia l’unico valido e nemmeno che sia particolarmente originale. Al contrario, anche la mia versione di ToC fa tesoro del lavoro di molti altri professionisti a cui mi sono ispirato e cui continuo a ispirarmi ancora oggi.
Voglio però sottolineare che non tutte le modalità di elaborazione di una ToC sono uguali, e i risultati si vedono…
Quello che voglio dire, evitando di apparire presuntuoso, è semplicemente che la stragrande maggioranza delle critiche rivolte alla ToC si riferisce – a ben vedere – non alla ToC in quanto tale, ma a certe modalità di sua interpretazione e applicazione, rispetto alle quali esperienza e ricerca possono mettere in campo soluzioni particolarmente efficaci.
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Da dove nasce la mia versione della ToC?
- Da oltre 20 anni di esperienza.
- Da più di 4 anni di sviluppo di ToC presso organizzazioni di dimensioni e in ambiti differenti e di sperimentazione in laboratori formativi.
- Da 3 anni di ricerche, approfondimenti, scambi, workshop con il team di esperti che ruota intorno a Info-cooperazione, ora denominato ChangeLab, di cui sono co-fondatore, che dal 2018 si è confrontato con circa 200 professionisti fra ONG, Associazioni, Consulenti e Dirigenti AICS (la versione interamente rivista e aggiornata delle linee guida per la ToC in Cooperazione Internazionale la trovate qui).
Tutto questo mi consente di contenere notevolmente (in molti casi fino a eliminare) i rischi che certi approcci portano con sé. Rischi che finiscono per rendere la ToC:
- Astratta, puramente teorica, sganciata dalla realtà, impraticabile, insostenibile
- Troppo complessa o, all’opposto, troppo semplice
- Non radicata nella storia, nell’identità, nel patrimonio, nelle persone e nelle risorse dell’organizzazione
- Un esercizio compilativo, che non modifica minimamente processi e impatto dell’organizzazione
- Uno schema astratto da applicare rigidamente, anziché – come piace a me definirla – un framework di apprendimento dinamico e adattativo.
Altra condizione imprescindibile, naturalmente – ma va al di là della diretta responsabilità del Consulente, che comunque deve essere molto chiaro su questo punto –, è che l’organizzazione lavori costantemente per trasformare la ToC in un processo routinario di miglioramento continuo.
In conclusione, quando la ToC viene sviluppata “a certe condizioni” mostra tutta la sua forza trasformativa sia internamente alle organizzazioni, ridonando senso al nostro lavoro, sia nei contesti di intervento. Il che significa, alla fine, che ci mette nelle migliori condizioni possibili per incidere sulle cause e sulle soluzioni per cui le nostre organizzazioni esistono.