Le strade che il nostro Paese prenderà per affrontare la fase post-pandemia saranno decisive anche per il Terzo Settore. E lo saranno non solo per come il Governo considererà il non profit nelle politiche di “rinascita e resilienza”, ma anche per come il Terzo Settore stesso deciderà di rivendicare il proprio ruolo. Il PNRR (Piano di Rinascita e Resilienza) non sembra avere riconosciuto un ruolo di soggetto protagonista al Terzo Settore, ma la mia opinione è che siamo in tempo per introdurre correttivi importanti. A patto che ci si muova compatti e con una visione forte condivisa. La Pubblica Amministrazione deve fare la sua parte ed è estremamente interessante che l’Asse 3 del PNRR appena approvato dalla Commissione Europea affermi espressamente che “la capacità amministrativa è molto debole” e che “devono proseguire gli sforzi per rafforzare la capacità di pianificazione strategica, i meccanismi di monitoraggio e valutazione e un processo decisionale basato su dati probanti”.
PA, PNRR e Terzo Settore: abbiamo bisogno di competenze forti
Che cosa c’entra tutto questo con il non profit e il fundraising: tantissimo, e almeno per un paio di motivi:
- Avere come interlocutore una Pubblica Amministrazione forte in queste competenze faciliterà enormemente il lavoro di co-programmazione e di co-progettazione territoriale con il Terzo Settore, con potenziali importanti ricadute anche sulla sostenibilità sociale ed economica delle partnership e degli interventi.
- Anche il Terzo Settore, dal canto suo, ha necessità di rafforzarsi sulle medesime competenze al proprio interno, perché sono le uniche che consentono di prendere decisioni informate, basate su evidenze, di apprendere continuamente dai riscontri che arrivano dai territori e di ottimizzare le risorse per raggiungere la sostenibilità e il massimo impatto possibile.
Tutto ciò presuppone (e il PNRR lo testimonia) un’enorme sforzo economico e organizzativo in termini di capacity building a tutti i livelli di responsabilità. Solo persone capaci di pianificare sul medio-lungo periodo su obiettivi di risultato a livello di outcome (i cambiamenti nella vita di persone, comunità, sistemi territoriali) e di monitorarne e valutarne con rigore andamento ed esiti potranno fare la differenza. Chi si occupa della sostenibilità economica delle organizzazioni non può più esimersi dal possedere competenze di alto livello in questi ambiti.
Visione a breve termine vs pianificazione strategica
Finché la raccolta fondi sarà schiacciata su micro obiettivi dal fiato corto (l’ennesima “campagna di Natale”!) senza avere strutturato un piano pluriennale agganciato agli obiettivi di outcome dell’organizzazione, non si uscirà mai da una gestione emergenziale. Paragonando la nostra organizzazione a un’automobile, dobbiamo sempre ricordare che non abbiamo costruito la nostra automobile per cercare la benzina. La benzina ci serve per arrivare dove vogliamo andare e la macchina deve essere adeguata all’obiettivo. È la meta che guida la raccolta fondi (e definisce le caratteristiche dell’automobile), e non viceversa. Il che significa che il fundraising deve essere incardinato nelle strategie di medio-lungo periodo dell’organizzazione. Se la meta non è chiara, cambia a seconda di dove vanno i finanziatori, è ingabbiata nell’operatività quotidiana dell’obiettivo di fine trimestre, i vari uffici e dipartimenti di muovono come se fossero entità fra di loro separate (dove il rispettivo Responsabile si è costruito il suo piccolo regno e dominio) ecc. ecc., quello del fundraiser resterà sempre un ruolo “esterno”, “strumentale”, su cui penderanno richieste irrealistiche, contraddittorie e il cui fallimento cadrà sempre e solo sulla incapacità del singolo (mentre il problema di fondo risiede quasi sempre nelle scelte strategiche dell’intera organizzazione).
[Foto di Keith Luke – Unspalsh]