I progetti per molti soggetti non profit (ETS da qui in avanti) sono uno strumento essenziale per fare raccolta fondi istituzionale o corporate, portare avanti le attività, pagare persone e costi di struttura. A parte poche realtà che riescono a differenziare bene le fonti di finanziamento, la progettazione è e resterà per molti la via maestra per dare concretezza e sostenibilità alla propria missione. Del resto, gli stessi finanziatori sembrano prediligere questo strumento, che ha indubbi vantaggi in termini di regole uguali per tutti e trasparenza, sintesi dei principali aspetti necessari a definire un intervento, procedure consolidate, alti standard di rigore nella rendicontazione economica.
I limiti dei progetti
Ma i progetti hanno anche dei limiti evidenti, che hanno portato negli anni a rendere estremamente difficile, quando non impossibile, l’azione degli ETS:
- Insufficiente o nulla copertura dei costi di struttura/indiretti (affitto sede, formazione personale, scrittura progetti non finanziati, analisi di contesto o di bisogni, advocacy e lobby, creazione e gestione di reti ecc.) legati all’intervento (in letteratura a tal proposito si parla di “starvation cycle”).
- Tempi e risorse troppo limitati per aggredire le cause dei problemi e produrre un cambiamento di sistema (non curare il “sintomo”, ma eliminare la causa).
- Legato ai due precedenti: impossibilità di valutare il reale impatto generato in termini di cambiamenti sistemici (su più attori, sostenibili nel tempo, a livello di outcome… ), sia in itinere che ex post.
- Rigidità eccessiva, che impedisce di modificare con la necessaria flessibilità l’intervento in corso d’opera, per potere tenere conto sia di quanto restituiscono i portatori di interesse sia di nuove evidenze o situazioni di contesto, parallelamente alla realizzazione delle attività sul terreno.
Come gli ETS possono contenere i limiti dei progetti
Questi limiti vedono responsabilità e possibilità di intervento importanti lato donatori, ma certamente anche lato ETS. Che cosa possono fare gli ETS per contenere questi limiti e, con il tempo, arrivare addirittura a eliminarli?
- Concedersi ogni 3-4 anni, in fase di ripianificazione/riorganizzazione, il tempo sufficiente per disegnare strategie con un chiaro orizzonte di cambiamenti sistemici in grado di aggredire le cause per cui l’ETS è nato. Questo tempo, preziosissimo, è fondamentale per poi poter inserire ogni singolo progetto all’interno di un piano sufficientemente chiaro, strutturato e condiviso. Ogni progetto dovrà provare ad avvicinarci di un passo a un cambiamento sistemico (inevitabilmente di medio-lungo periodo; si veda l’immagine di sintesi realizzata da Ashoka a inizio articolo) e non nascere come semplice risposta a un bando per “fare cassa”, in una corsa spasmodica dove a decidere le nostre strategie è il donatore di turno, ogni volta diverso e con linee guida differenti (così finisce che “s-bandiamo” continuamente rispetto alla nostra missione).
- Differenziare il più possibile le strategie di sostenibilità in modo da ridurre al massimo il peso dei costi generali/indiretti. Sperimentare il più possibile partnership con il settore profit, senza pregiudiziali ideologiche, con gli obiettivi di cambiamento sociale al centro di ogni decisione.
- Organizzarsi per valutare almeno i risultati di breve periodo in modo rigoroso e professionale. Il che significa mettersi nelle migliori condizioni possibili per capire in che misura, grazie ai progetti, ci stiamo avvicinando ai cambiamenti che per missione abbiamo dichiarato di volere raggiungere.
- Fare rete, massa critica, con altri ETS per negoziare migliori condizioni con i finanziatori o proporre nuove modalità sperimentali di finanziamento, che tengano meglio insieme costi indiretti, flessibilità in itinere, valutazione dei risultati e orizzonti di finanziamento di più lungo periodo. È possibile, alcuni finanziatori a livello italiano e internazionale stanno già dimostrando interesse, apertura e voglia di mettersi in gioco su questo terreno. Si tratta di partire da qui e di spingere per un coraggio e un coinvolgimento anche maggiore, su più larga scala.
- Sullo stesso piano del punto precedente, ingaggiare maggiormente con attività di lobby il decisore politico, che ha un ruolo centrale nel definire e fare applicare cornici legali che sostengano e mettano a sistema le soluzioni più efficaci, oltre che nell’orientare i finanziamenti pubblici.
Restituire al progetto il suo pieno valore
Solo in questo modo il progetto
- torna ad acquisire il suo valore e la sua centralità per la missione degli ETS;
- attiva ambiti nei quali sono il problema e le sue cause ad aggregare le migliori risorse nei territori, che siano esse aziende, enti pubblici, volontariato, cooperative sociali, ONG, comunità religiose, singoli cittadini o altri soggetti ancora;
- diventa vero terreno di sperimentazione e di innovazione sociale;
- apre la strada alla definizione di politiche territoriali ad alto impatto sociale.
E, infine, ciò che più conta: solo così il progetto torna a essere strumento trasformativo della vita delle persone per cui abbiamo deciso di scendere in campo.