Sono anni veramente complessi, fatti di crisi intrecciate fra di loro (clima, migrazioni, conflitti, pandemie, sovranità alimentare, diritti dei lavoratori, invecchiamento della popolazione, crescita del divario sociale… ). Parlare di “Teoria del cambiamento e valutazione dell’impatto sociale” può dare la sensazione di parlare di “sesso degli angeli”…
L’ETERNO RITORNO DEGLI STESSI PROBLEMI
Il fatto è che, nel lavoro quotidiano, continuo a incontrare ETS concentrati a contare “le noccioline che distribuiscono”, a fare i conti con entrate trimestrali mai soddisfacenti, che cambiano continuamente personale e strategie di fundraising e ogni volta ripartono da capo (quando non tornano indietro… ). Organizzazioni che prima escono con ricerca di personale e poi disegnano un minimo di pianificazione triennale comprensiva della strategia di raccolta fondi, come se non fossero pianificazione e strategia a dovere guidare la ricerca di personale. Organizzazioni che hanno una Mission, ma se ne dimenticano il giorno dopo averla definita, troppo presi a inseguire non importa quale finanziatore purché tappi l’ennesimo buco di bilancio, anche se le linee guida dei bandi sono per loro distanti anni luce, per contenuti e per storia. ETS che confondono la necessaria flessibilità di chi come noi ha scelto di misurarsi con le complessità dei problemi del sociale, con il trasformismo che regala l’illusione (fugace) di potere raccogliere fondi un po’ da tutti, inseguendo le mode o l’ultima crisi del momento. Organizzazioni che hanno più a cuore la propria sopravvivenza che la loro reale capacità di costruire un mondo migliore per tutti. Organizzazioni che non si prendono cura delle loro persone e continuano a perdere elementi di eccellenza, con tassi di turnover altissimi.
LA VISIONE “POLITICA”
Manca totalmente una visione – mi verrebbe da dire “politica”, nel senso più nobile e letterale del termine –, di medio lungo periodo, che senza derogare alla necessaria flessibilità di cui sopra, tenga la barra a dritta verso un futuro in grado di trasformare la società in meglio, insieme alle comunità con le quali lavoriamo. Una visione che non ha paura di misurarsi con i fallimenti e che si mette alla prova di sistemi di valutazione organizzativamente sostenibili e rigorosi al tempo stesso, perché ci tiene a migliorare continuamente, a restare in una posizione di ascolto e di apertura nei confronti dell’altro. Una visione, infine, che rimette al centro le persone, a partire dalle “nostre”, quelle che hanno scelto di dedicarsi alla nostra organizzazione.
ARTIGIANI DEL CAMBIAMENTO
Siamo costruttori di speranza e artigiani del cambiamento. Oppure burocrati schiacciati sul fare e col fiato corto?